31/05/2011

Io e il tappeto

6° capitolo del racconto "Non ho comprato il pepe verde"Search

"Ciao, Franci!"
Giovanna ha le chiavi della mia casa, e viene spesso a trovarla: le fa piacere scoprire che sta sempre lì, incollata allo stesso portone. E le fa piacere trovarci, a volte, il suo paguro, anche se spesso, come anche oggi, lo trova addormentato. Ha un sistema bellissimo per svegliarmi, ma non posso descriverlo, per riservatezza. Posso solo dire che è un bell'aprire gli occhi, un po' come trovarsi immerso a capofitto in una foresta, bagnata dalla rugiada del mattino.
Ieri sera è uscita con un tipo, le piace, ma non vuole impegnarsi in una storia seria. Lei sa già cosa le risponderò, ma un po' per gentilezza, un po' perché vuole sentirselo dire, mi ascolta con attenzione:
"E' ridicolo avere prima in testa un tipo di rapporto e poi cercare la persona che ci incastri perfettamente. Sai come la penso, ogni persona è degna di essere conosciuta, e un rapporto con chiunque, di qualunque tipo sia, si costruisce insieme, giorno per giorno, ora per ora. Nessuno ti può costringere in una storia che non ti va."
"Sì, ma lui mi sembra proprio il tipo da storia seria o niente..."
"Bene: a parte che puoi sempre sbagliarti, visto che lo conosci poco e niente, se anche avessi visto giusto, così sarà. Storia seria, o niente. Storia seria, se vorrai anche tu: niente, se non ti andrà."
E' sempre la stessa. Ha paura di innamorarsi, come se fosse una malattia. Ma non è solo di questo che vuole parlarmi:
"Sai, stanotte ho fatto un sogno: c'era gente in camice bianco. Dottori, penso. Mi avevano infilato in testa un casco pieno di fili, e parlavano ad alta voce: 'Un buon composto, 90% chimina, con tracce di quantismo' 'Ottimo. E' quasi puro, non rilevo alcuna traccia di letteraturosio o di filosofemia...'"
Scoppiamo a ridere insieme: "Ma davvero dicevano questi nomi assurdi?"
"Beh, era un sogno, ma li pronunciavano come se fossero nomi scientifici. Il fatto è che stavano analizzando le cose che avrei potuto fare bene, i miei talenti. Ecco, quel casco si chiamava proprio talentoscopio: l'ha detto un'infermiera, alla fine, 'Posso spegnere il talentoscopio?'. Poi mi sono trovata all'Università, iscritta in chimica. Mi avevano detto anche di chi ero innamorata..."
E' turbata. La abbraccio, e provo a tirarla su:
"Ah, sì? E che tipo era lui?"
"Lui? Ah, era quasi brutto come te! Però era vergine..."
"E come è finito il sogno?"
"Veramente, non l'ho capito bene. Ad un certo punto, tutti sembravano impazziti, e nominavano un certo Vospi...Vospiner..., no, Kospiger, e io mi sentivo più libera. Comprai un blocco notes, una penna, e gli dedicai una poesia. Poi, stavo per mettermi a cercarlo, per dargliela, quando mi sono svegliata..."
"Certo che ne fai di sogni strani! Comunque, è pazzesco: questo sogno, qualcosa di quello che mi hai detto, mi sembra di averlo sognato anch'io, ma non ricordo nulla di preciso... aveva a che fare con un orologio, se non sbaglio... ma che c'entra col resto?"
"Beh, in un sogno ci sta questo ed altro..."
"Eppure, più ci penso e meno mi sembra che fosse un sogno... piuttosto, una specie di deja-vù... ...forse siamo capitati in un vortice spazio-temporale, che ci scaglia qua e là, prima e dopo, come se il tempo fosse ormai un nome senza senso, e lo spazio..."
Non finisco la frase, perché Giovanna mi sta prendendo a cuscinate, ridendo. Rido anch'io, e afferro il mio cuscino, per rispondere ai suoi colpi. Lottando, finiamo sul tappeto, dove proclamiamo una tregua.
"Ho dovuto farlo, stavi dicendo troppe cavolate..."
"A che ora?", le chiedo. E' il segnale: la battaglia riprende, più furiosa di prima. E' solo dopo un buon quarto d'ora che le ostilità si chiudono: i cuscini sono distrutti, ma, come ci accade spesso, troviamo nuovi giochi da fare sul tappeto.

Un passante mi ha chiesto l'ora: "Sono le sei e mezzo", rispondo, senza pensarci, come se quello che ho detto avesse un senso. Già, che idiota, lei smonta alle sei e mezzo, ma se c'è una cosa non assoluta, dopo la storia di Kospiger, è proprio il tempo. Fa niente, dovrò entrare a prenderla. E lei è pronta: mi aspettava. Andiamo a casa mia. Mi sorprende la sua domanda:
"William, tu conosci Kospiger?"
Può essere una trappola. Le guardo dentro agli occhi nerissimi, e non scorgo altro che preoccupazione mal dissimulata: sì, mi fiderò.
"Sì. Ci frequentavamo ai tempi dell'Università, facevamo parte di una specie di setta segreta."
"Quella in cui discutevate di filosofia?"
Il mio cuore sobbalza.
"E tu come..."
"Me l'ha detto lui. Sa di potersi fidare di te. Vuole parlarti."
"Anch'io lo sto cercando. Vorrei chiarirmi le idee su ciò che ha fatto."
"Lo trovi terribile?"
"No. Forse meraviglioso, ma non terribile."
Siamo arrivati a casa, saliamo le scale in silenzio. Le verso da bere, e la mia ex Gran Mogol, che ora chiamo Jane, mi racconta quello che sa. Non molto per la verità: sa solo che lei, dopo il 'fattaccio', è rinata. La voglia di vivere è esplosa nel suo petto, emozioni mai provate le gonfiano le vene, emozioni il non saper spiegare le quali le provoca un'eccitazione impensabile...Per questo ha seguito Kospiger. Certo, è rimasta al suo posto di lavoro, per non creare sospetti, ma fa parte di un gruppo di persone che, pur non avendo le cognizioni necessarie per comprendere esattamente cosa stia succedendo, aiutano istintivamente, per tutto ciò che è loro possibile, gli scienziati che lavorano con Kospiger.
Mi parla anche di sé. Anch'io lo faccio, con una naturalezza quasi innaturale, come se la conoscessi da anni, senza conoscerla. E quando vado a prendere i cubi colorati, ormai non ho più davanti a me la sconosciuta Gran Mogol, ma solo la mia Jane. Alla vista dei cubi, lei scoppia a ridere.
"Che fai, prendi in giro? Sia chiara una cosa, ti ho invitata qui solo per giocare con i cubi!"
Lei afferra un cuscino, e me lo tira: io non posso essere da meno, per cui scoppia una furiosa battaglia. Che strano, mi sembra di aver già vissuto questa scena...e sia io che il tappeto sappiamo come andrà a finire.

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24/05/2011

Cosa c'entra Stone Henge con il Dipartimento del Tempo?

5° capitolo del racconto "Non ho comprato il pepe verde"Search

Ma non sarà facile trovare Kospiger: le polizie di tutti gli stati lo stanno ricercando, nonostante tecnicamente non abbia commesso alcun reato. Infatti, i legislatori non potevano prevedere che qualcuno, contro ogni logica, avrebbe pensato di manomettere l'Orologio Meta-Universale, soprattutto ora che si era vicini a trovare nei suoi meccanismi il modo per prevedere il futuro. Ma io ho un vantaggio, rispetto agli agenti: loro cercano un pazzo, io no.
Con la confusione creata dallo sfasamento, qui al centro di ricerca nessuno noterà la mia assenza: per quanto questo possa risultare sgradevole per il mio orgoglio, non sono certo indispensabile per il lavoro dei miei colleghi. La prima cosa da fare è parlare con qualche collega di Kospiger, all'Istituto del Tempo.
La costruzione non mi è nuova: conosco le sue enormi sale, adornate da imponenti quanto fredde riproduzioni olografiche delle più belle opere di scultura che siano mai state create dall'uomo, insieme ai più sofisticati computer mai progettati; le conosco per averle frequentate ai tempi della preparazione della mia tesi di laurea, molti anni fa, o ieri, non ricordo bene...
Al centro del ferro di cavallo dei grandi triliti, mentre, attraverso l'imponente cerchio di arenaria azzurra, sfioro con sguardo trepidante la Heel Stone, il mio cuore sobbalza. Quasi duemila anni prima di Cristo, una moltitudine di uomini aveva dedicato, o era stata costretta a dedicare, la propria vita ad un lavoro titanico, quasi impossibile, sotto la guida di altri uomini dotati di conoscenze incredibili, per quell'epoca. Ed io sono qui, finalmente, dove quei popoli antichi riuscirono in un'opera così grandiosa, e così misteriosa. E l'emozione di quest'attimo non può essere spiegata, non può essere raccontata, forse non può neppure essere provata per due volte.
Attraversato il portone d'ingresso, mi dirigo verso il Dipartimento di Fisica Temporale.
"Buongiorno. Vorrei parlare con il professor Lockyer."
La mia interlocutrice sta seduta dietro una scrivania che sarebbe vuota, se non fosse per un giornale di moda, appoggiato distrattamente vicino al bordo posteriore destro del piano. Nonostante il giornale sia evidentemente suo, non mi dispiacerebbe conoscerla meglio: capelli neri, sguardo sorridente, poco trucco, niente orecchini, labbra ben disegnate, forse le orecchie un po' a sventola.
"Chi lo desidera?"
Però. Bella voce. E poi, quanti sotto-non-intesi in quel 'desidera'... ma su, via, sono qui per qualcosa di molto più importante, e poi, lo so che mi basta un nulla per decidere che una donna non fa per me (bugiardo vigliacco), e quel giornale di moda...
"Mi chiamo William Holmes."
"Parente di Sherlock?"
Ah, quindi fa la spiritosa. Mi tocca ricorrere al mio vecchio repertorio di banalità:
"No, parente di John. Sono il fratello minore. Molto minore. Ma più dinamico."
Ride. Beh, dieci anni di amicizia con Luke Pyrods non si cancellano facilmente, questa gliela racconterò.
"Comunque, sono un collega del professore, lavoro al centro di ricerca."
Sorride.
"Venga, l'accompagno."
Venga, l'accompagno. Venga, l'accompagno. Penso: "Anche questa la racconterò a Luke.", mentre seguo la mia Gran Mogol, che mi mostra un altro bellissimo pezzo del suo repertorio, nel camminare davanti a me verso lo studio di Jan Lockyer.
Jan era un mio compagno di scuola, alle medie. Gran lavoratore, forse un po' monomaniaco, ma questo è un pregio, nella nostra società, sempre che la mania coincida con ciò che indica il talentoscopio. In questo sistema, Jan è perfettamente a suo agio, per cui, se c'è qualcuno che considera Kospiger un pazzo sotto ogni aspetto, ebbene, questo deve essere proprio Jan.
"Hai visto cosa ha combinato il tuo ex assistente?" gli chiedo, tanto per ricevere una conferma a ciò che già immagino.
"Non me ne parlare. Penso che abbia manomesso il rivelatore di fantasie, al suo ultimo controllo, perché le sue analisi sono risultate normali. Comunque, sto lavorando ad un nuovo rivelatore che riesca ad analizzare in maniera continua le alterazioni chimiche che si verificano sul personale, in modo da impedire che si verifichino altri comportamenti folli di questo tipo, in futuro, almeno finché non avremo terminato lo studio dei meccanismi per prevederlo, il futuro. E pensare che probabilmente sarebbe bastata un'iniezione di trinaremina, per riequilibrare la sua mente malata..."
Povero, vecchio Jan. Per lui, si tratta di una semplice disfunzione, di un errore di controllo, che il sistema assorbirà, per poi continuare sulla strada della meccanicità più totale. Non riesce ad immaginare che forse ci sono più cose in un uomo di quante possa prevederne il suo Dio, quell'Orologio Meta-Universale che Kospiger aveva sfidato. Sto al gioco:
"Ma cosa vuole?"
"Con quella manomissione, è riuscito ad ingannare tutti. Diceva di cercare il modo di operare quella roto-traslazione trans-dimensionale per riuscire ad afferrare non so bene cosa, e per far questo aveva bisogno di studiare l'Orologio. Dopo il disastro, mi ha mandato un messaggio farneticante: tieni, fatti quattro risate!"
Fruga in un cassetto, ne estrae un foglio, che mi porge. Lo leggo.
"Ci siamo. Le cose non sono state sempre così come ci appaiono, né in realtà lo sono oggi. Noi siamo stati convinti che tutto ciò che accade abbia una causa misurabile, ma non è così. Non siamo macchine. C'è un significato. Anzi, ce ne sono infiniti, ed ognuno di noi può trovare i propri, ed è questo il significato più importante. Pensaci, Jan, abbandona per un attimo la tua logica di ferro, e buttati nel mare delle emozioni inspiegabili!
Tuo Kospiger"
"Non è folle?"
Non rispondo subito. Devo stare attento: in questo momento vivo in una casa di vetro, quindi non posso tirare pietre.
"Certo, non è normale."
"Pensa, a me, che da sempre cerco e, modestamente, trovo le spiegazioni delle emozioni prima inspiegabili, a me, dunque, dice di buttarmi nel loro mare..."
"Cosa ci vuoi fare, Jan... Ma risolveremo anche questo problema. Ora vado, devo tornare al lavoro. Fammi sapere."
Fuori dalla porta, la Gran Mogol, seduta dietro alla sua scrivania, sta scrivendo qualcosa. Mi avvicino silenziosamente, e riesco a leggere qualche riga:
"Il cielo coperto di foglie argentate ospita le lontre che nuotano sott'aria..."
Mi vede, ma non fa niente per impedirmi di continuare a leggere.
"Cos'è una nuvola, se non il respiro di due amanti che giocano a rincorrersi..."
I nostri sguardi si incrociano. Stiamo sorridendo. Ma sì:
"Ho un gioco che penso le piacerebbe. È una serie di cubi colorati, in un quadrato di legno. Si possono mescolare, girare, spostare, per comporre tutto ciò che si desidera..."
"Oh, sì, è bellissimo, l'ho visto ieri nella vetrina di un negozio, e l'ho comprato subito!"
"Potremmo comporre qualcosa insieme..."
"Certo, sarebbe divertente... io smonto alle sei e mezzo."
"Ci sarò."
Non mi abituo, non voglio abituarmi a queste ondate di emozioni, che si frangono violentemente contro le scogliere dei miei pensieri, scrostando lentamente, ma inesorabilmente, le secche alghe che le ricoprono... sia benedetto quel matto di Kospiger! Consulto, per curiosità, il mio analizzatore di sentimenti, regolato in relazione alla Gran Mogol: è impazzito, fornisce dati assolutamente incoerenti, contraddittori, direi casuali... insomma, per come la vedo io, non ha mai funzionato così bene! Non so perché, ma ho la certezza che anche l'analizzatore della Gran Mogol si stia comportando allo stesso modo. E, dopo anni di sicurezze, provo il brivido dell'imprevisto, del rischio. Sì, devo trovare Kospiger. Devo abbracciarlo.

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17/05/2011

Dormiveglia

4° capitolo del racconto "Non ho comprato il pepe verde"Search

E' l'alba. Il sole sta iniziando a perlustrare la mia stanza, ma in silenzio, perché è molto educato. Io dormo con la serranda sollevata: il sole è mio amico, lasciargli aperta la serranda è come dargli le chiavi di casa. Può entrare quando vuole, sa di non disturbare mai, come ogni altro mio amico. Riesco appena ad intuire che è qui, perché non sono ancora sveglio. Ma non sono neanche addormentato: meravigliosa condizione! Purtroppo, non dura molto: il tempo di un gemito di piacere, e subito il sonno ha la meglio.
Sono alle elementari. Il talentoscopio conferma ciò che già aveva certificato alla mia nascita, e, a scadenze regolari, aveva poi ripetuto ad ogni controllo: sono portato per la matematica, la fisica e, in generale, per le materie scientifiche. Ora, il tecnico preposto a scandagliare il mio cervello con quell'apparecchio è alla ricerca di alcune molecole particolari che consentano una maggiore precisione, per poter indirizzare definitivamente la mia carriera scolastica. Un segnale acustico ed uno luminoso mi avvertono che la ricerca è andata a buon fine: sì, sarò un ingegnere meccanico.
Scuole medie, primi problemi: mi piace il calcio, mi piace il salto in alto. Ma l'analizzatore di talento mi consente solo il primo, negandomi il secondo: riuscirò meglio nel getto del peso. Sensazione di inadeguatezza: meno male che abbiamo l'analizzatore, ho rischiato di praticare il salto in alto senza esserci portato! Eppure, quel coso lì non riesce a essermi simpatico.
Liceo: sì, lo so, la reazione chimica individuata dall'analizzatore di sentimenti indica che io e Romy siamo innamorati, ma perché non ho mai voglia di vederla? Mi ricoverano per curare questa disfunzione. Neutralizzano alcuni ioni in me e in Romy, e diventiamo amici. Mi sembra strano: meglio però tenere per me questi pensieri.
L'Università è tormentata: supero esami, sì, ma senza convinzione; eppure il Grande Programmatore dice che sarò un buon ingegnere: evidentemente, uno di noi due ha le batterie scariche.
Conosco della gente. Scopro che non sono l'unico ad avere problemi con il proprio Grafico della Personalità e degli Interessi. Ci riuniamo come una setta segreta, dove gli ingegneri si interessano di filosofia, i filosofi di chimica, i chimici di letteratura... ma le analisi del sangue ci tradiscono: una cura a base di ormoni sintetici, e gli interessi tornano a posto. Il nostro mondo ricomincia a funzionare bene. Tutto al posto giusto, nel momento giusto. Pensare che alcuni antichi la chiamavano noia!
Dalla scoperta dell'Orologio Meta-Universale in poi, anche i tempi sono programmati: perché perdere energie nell'ozio, o peggio, insistere con l'arte, se non se ne è capaci? Io, ad esempio, pensavo di essere un artista, un musicista: grazie al talentoscopio, ora so che non saprò mai suonare bene alcuno strumento, che non sarò mai in grado di studiare composizione, quindi meglio non sprecare il mio tempo a mettere insieme suoni che chiamerei musica, e che sarebbero invece penosi accostamenti incoerenti di note. Peccato, mi sarebbe piaciuto, forse...
Mi sveglio sudato. Mi sono addormentato senza inserire il generatore di sogni rilassanti, e ho sognato per conto mio: può essere pericoloso (così mi hanno insegnato), ho commesso una grave imprudenza... ma devo essere malato, perché non avverto alcun senso di colpa... oltretutto, è illegale non sentire sensi di colpa, e questa legge è giusta: chi non ne sente deve recarsi subito al più vicino centro di produzione e farsene impiantare la giusta quantità, altrimenti può diventare pericoloso, per sé e per gli altri.
Ma, in questo momento, non me ne frega niente. Il sonno ha eliminato anche il più subdolo dei sensi di colpa: quello che ti fa sentire in colpa perché non provi sensi di colpa. Un solo pensiero mi pulsa nel cervello, mi rimbalza nello stomaco, mi riempie di adrenalina oltre i limiti consentiti, ma non mi recherò, come dice la legge, presso un centro di raccolta adrenalina per donare il sovrappiù a chi ne ha bisogno, perché stavolta serve tutta a me: devo trovare Kospiger. Gli devo parlare.

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14/05/2011

Inutilmente?

3° capitolo del racconto "Non ho comprato il pepe verde"Search

Forse ci siamo. Mio fratello Michael, insieme al mio amico Alex, si sono introdotti in maniera virtuale all'interno dell'onda elettromagnetica associata allo sfasamento. È strano pensare a loro due, travestiti da elettroni, che fluttuano nello spazio e nel tempo, alla mercé di un'omega impazzita, riferita alla quale l'espressione "variabile" assume una paradossale fissità. I loro corpi, collegati al gigantesco computer di Michael mediante una speciale interfaccia, da loro ideata, e costruita dalla loro Società, sono davanti a me. Sono immobili, ma parlano. Oddio, parlano, diciamo che articolano qualche suono: Alex sembra regredito ad uno stadio infantile, ma il suo viso emana serenità da ogni poro; Michael continua a ripetere ossessivamente la stessa frase: " Che banda è ? "
Non riesco ad immaginare di vivere in una città senza il mare. Come potrei rinunciare a passare a salutarlo, ogni tanto, nei tramonti invernali, quando il sole si spegne piano piano, immergendosi tra i flutti? Dove potrei trovare quei pazzi colori, come dipinti istintivamente dalla piccola mano di un bambino, senza alcuna tecnica, che nascono a sorpresa nel cielo, appositamente per stupire il mio sguardo, e quello di tutti coloro che sanno commuoversi nell'attimo in cui mare e cielo si confondono quasi impercettibilmente, quando la luce di una barca sembra galleggiare ora sull'acqua, ora nell'aria... è un istante: non un attimo prima, non un attimo dopo, ma oggi sembra infinito; chiudo gli occhi, li riapro, ed io sono ancora lì, e lui è ancora lì, a lasciarsi accarezzare dal mio sguardo, ogni volta emozionato e commosso come la prima volta in cui mi lasciai attraversare liberamente dalle calde ondate di risacca silenziosa, che proseguirono la loro corsa all'indietro nel mio sangue, fino a frangersi sulle successive, e poi di nuovo, ancora e ancora...
Nulla. Non ricordano nulla. Né Alex, né Michael. Solamente, neanche loro credono più che Kospiger sia un pazzo.
E allora mi addormento. C'è Barbara, ad aspettarmi. Ci amiamo, e lo sappiamo. Non importa se l'analizzatore di sentimenti dice il contrario: cosa può saperne, lui, dei sogni degli uomini?

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12/05/2011

Perche' perderne

2° capitolo del racconto "Non ho comprato il pepe verde"Search

Quella ragazza mi ha sorriso. È uscita da quel negozio di giocattoli, nella mano destra una busta di plastica trasparente, dentro la quale si può riconoscere una semplice confezione con un contenitore quadrato di legno, come una cornice alla quale sia stato incollato un fondo là dove sarebbe potuta stare la tela. Dentro la cornice, dei cubi colorati, anch'essi in legno, mi sembra, che riempiono totalmente lo spazio a loro disposizione: ho già visto qualcosa del genere, al Bastione e a casa di Francesco. Prima al Bastione, poi a casa di Francesco, visto che ero insieme a lui quando l'ha comprata, al Bastione, appunto.
Io le ho sorriso, lei mi ha sorriso.
"Ciao, io sono Francesco."
"E allora?"
Prosegue per la sua strada, che porta verso un tipo che camminava proprio dietro di me, il destinatario del suo sorriso.
No, così non va. Fermo gioco: rifare.
"Ciao, io sono Francesco. Sarebbe bello se tutti ci sorridessimo così, quando ci incontriamo, sarebbe più facile conoscersi, no?"
Mi guarda come se fossi un venusiano. Mastica il suo sorriso, borbotta qualcosa riguardo al suo ragazzo. Mi chiedo: dove sta la connessione logica? Le ho forse chiesto di sposarmi? Ha forse trovato nella mia voce dei toni sottintesamente copulativi? Vorrei dirle che mi piacerebbe conoscere anche il suo ragazzo, magari è una persona interessante, ma lei, forte della sua equazione ragazzo che ti ferma per strada = satanico seduttore di fanciulle, è già sparita dalla mia vista e dalla mia vita.
Alt. Non ci siamo ancora. Riprovare.
"Ciao, io sono Francesco. Volevo solo dirti che sei molto carina."
Perfetto. Era tutto quello che volevo dirle. Quando passa una macchina con una portiera aperta, è spontaneo avvertire il guidatore. Se qualcuno ha appena rischiato di investirti mentre attraversavi la strada sulle strisce pedonali, è spontaneo urlargli addosso il tuo disappunto. Vedo una ragazza carina, glielo dico, la saluto e me ne vado: lineare. Logico. Non sempre.
"Ti ho chiesto qualcosa?"
Stop. Ancora.
"Ciao, io sono Francesco."
"Ciao, io sono Barbara. Sei molto carino."
Ma cosa vuole questa qui? Sì, sì, già immagino tutto, chi sei, cosa fai, usciamo, poi gli amici, la gelosia, dimmi che mi ami, viviamo insieme, l'abitudine, i litigi per delle stupidaggini, la noia...
Quella ragazza mi ha sorriso. È stato bello. Abbiamo voluto prolungare quel momento senza rovinarlo, e abbiamo continuato a camminare, ognuno per la sua strada. È bello anche solo farsi sorridere addosso: però, quante cazzate che ho nella testa! E se approfittassi della sconcertante lunghezza di questo istante per cercare di riconoscerle, targarle,...eliminarle?
Non capisco. No, proprio mi sfugge qualcosa. Pensavo a Kospiger come ad un pazzo incosciente: solo un pazzo incosciente poteva pensare di inceppare l'Orologio...ma come avrà fatto, poi? L'Orologio è sempre stato lì, è per mezzo del suo funzionamento che noi esistiamo, senza di lui noi non ci saremmo... eppure, ora Kospiger mi sembra sempre meno pazzo... cos'ha in mente? Sa forse qualcosa che io ignoro? No, tutto è spiegato, sappiamo da dove veniamo, cos'è l'emozione, la gioia, l'amore, e possediamo la nostra vita dall'inizio alla fine. Tra poco, studiando l'Orologio, avremmo potuto conoscere anche il futuro, visto che sappiamo che tutto ciò che accade è spiegabile scientificamente... e proprio ora, Kospiger l'ha fatto. E questo eterno presente, che prima mi sconvolgeva i pensieri, sembra ora spingerli verso una direzione sconosciuta, ma affascinante...
Basta, devo concentrarmi sul mio lavoro, non posso perdere tempo (perdere cosa?), bisogna trovare il modo di tamponare questo dannato sfasamento.
Ma cosa diavolo è un elefantasma?

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09/05/2011

Non c'e' piu' tempo

1° capitolo del racconto "Non ho comprato il pepe verde"Search

Lo sfasamento spazio-temporale generato da Kospiger ha ormai causato danni irreparabili alle nostre forze di difesa, sia in termini di mezzi che, soprattutto, di uomini, scagliati a viva forza in qualcuno dei loro futuri passati, dove anche il presente non è tale, come, d'altra parte, sappiamo essere ovunque: il teorema di Zukkey ha dimostrato che l'inafferrabilità dell'attimo non è altro che un aspetto di un punto di discontinuità nella curva vita-tempo che regola da sempre lo svolgersi degli eventi umani, soggetti ai suoi punti di flesso, ai suoi massimi e minimi, dove ogni uomo non è che un sistema di assi non-cartesiani fluttuante nel non-spazio vettoriale del super cosmo, le cui intersezioni con la curva vita-tempo, che variano con continuità assoluta, si trovano all'infinito spazio-temporale, ancora inesplorato a causa delle furiose tempeste di derivate composte, poste a sua difesa dalla quinta equazione di Schroëdinger.
La teoria di Kospiger si basa su una roto-traslazione transdimensionale degli assi individuali, che permetta di ricavare delle intersezioni misurabili con la curva vita-tempo, in modo da permetterci di afferrare il vero senso della vita che, secondo il principio di Tuverick, risiede nel presente del presente, svincolato e invariante rispetto al futuro (ricavabile solo mediante introduzione di infinite condizioni a contorno), e covariante in maniera sostanzialmente random rispetto al passato, anch'esso non identificabile univocamente nelle sue coordinate essenziali. Ma la manomissione dell'Orologio Meta-Universale, necessaria per l'esperimento, ha causato reazioni ormai incontrollabili, tra le quali questo sfasamento che ci scaglia, ogni pseudo-secondo, in una diversa pseudo-collocazione spazio-temporale.
In sostanza, posso essere soddisfatto. Terminata la registrazione della chitarra solista, rimane solo l'incisione della voce. Questo pezzo mi confida, ogni giorno, dei nuovi segreti su di me, ma ognuno di essi resta misterioso, ammiccante, pieno di fascino. E man mano che vado avanti, mi sembra che il brano viva per conto suo: sì, io ho suonato il basso, io il flauto, io ogni strumento, ma il momento dell'incisione di ogni singola traccia non trova posto nella mia memoria, mentre, ogni volta che lo ascolto, è lui che incide in me tracce sempre nuove, segnando ogni mia più intima parte con la potenza e la gioia di un coito.
"Ciao, Franci!"
E' Giovanna. La conosco da anni: infanzia comune, un'amicizia che dura da decenni, un'intimità sfociata da tempo in un'intesa sessuale gioiosa e spensierata, interrotta solo in occasione di una mia storia d'amore, i cui postumi fatico un po' a staccarmi dalla pelle, a causa della mia ancora radicata abitudine di attribuirmi colpe che non ho. Il suo entusiasmo, il suo non nascondere mai la sua gioia di vedermi, cosa che lei ritrova in me con la medesima sincerità , sono per me l'estrema dimostrazione che vale la pena di vivere.
E' qui per qualcosa che ha scritto durante la notte; è qui per sentire il mio ultimo pezzo; è qui per un unico motivo, quindi.

"Il cielo coperto di foglie argentate
ospita le lontre che nuotano sott'aria
Cos'è una nuvola,
se non l'umido respiro di due amanti
che giocano a rincorrersi
a sfuggirsi a incontrarsi a travestirsi
a traspogliarsi
a frastagliarsi come fiordi
che aggrappano il mare alla terra
che avvinghiano la terra al mare...
Se non è questo, una nuvola è
ciò che si sogna
tutto e niente, qualcosa che c'è e non c'è
che si ferma per un attimo
non appena due anime vi intravedono
lo stesso elefantasma
o lo stesso branco di selvaggi cavalli
fatti d'oceano
lanciati liberi al galoppo
che strappano una lacrima d'emozione
al bimbo dagli occhi gonfi di meraviglia
E se io sono il bimbo
E se io sono il cavallo, il fiordo, l'amante,
perché non mi sento ancora nuvola?
Trattengo il respiro dei miei occhi
per non far svanire
l'immagine che ho davanti
e la mia vista esplode
in un turbinio di colori
di luci di ombre di forme
similnubi quasi-nembi cirromorfe
vedo che il fiordo non è mare
vedo che il fiordo non è terra
io sono il fiordo: io sono mare e terra
cavallo o vento non fa differenza,
l'importante è correre
libera, senza briglie né sella,
né strade, né mete
con la mia meraviglia di bimbo stupito
che trova il mondo in una nuvola
perché di nuvole è fatto il suo mondo
perché le nuvole sanno volare, come lui
e con le nuvole volo via..."

L'ultima frase e l'ultimo accordo sono una cosa sola. Anche noi due. Anzi, anche noi uno. Anzi, anche uno: qualcosa di molto più intimo di un 'noi', come un bambino e il suo gioco; e poi come l'onda e il mare in tempesta; e poi ridiamo, ci avvinghiamo, lottiamo, gridiamo, gemiamo, fermiamo un attimo per renderlo interminabile, con la spensieratezza e la forza animale di chi è libero da schemi di relazione precostituiti, e ricerca in quello dell'altro il proprio piacere, senza ansie, paure o progetti...
L'ordine delle derivate considerato in quello sviluppo non era sufficientemente alto, l'approssimazione si è rivelata eccessiva. Ogni tentativo di tarare nuovamente l'Orologio Meta-Universale non sta portando ad alcun risultato, la frequenza dello sfasamento cresce continuamente, anche se, a causa dell'assoluta relatività del tempo, non riusciamo a stabilire di quanto...anzi, lo stesso concetto di frequenza non mi è più familiare come ricordo che fosse...quando?

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04/05/2011

Transito 2

racconto, da "Perche' no?"Search

Galleggio in una nuvola
ribollo, in una folla di improbabili sinapsi
mi avvolgo delle coltri che mi avvolgono,
stravolto,
volteggio dentro volti, due alla volta
a volte
mi immergo nel vapore,
in me mi mescolo col me che in me riemerge,
ingeneroso, geloso, illuso, pavido, sincero:
non solo io, forse anche me. Mah.
Allora, siamo forse in due?
Oppure in dieci, cento...
Ma sì, riemergiamoci,
immergendoci l'uno nell'altro,
discutiamoci, abbracciamoci,
separiamoci, schiaffeggiamoci,
per cercarci e poi trovarci, oppure no:
ugualmente ti vivrò, allo stesso modo mi vivrai.
Perché, non più imballato
nel cartone del mio cielo,
su una bolla, mi trastullo,
lasciando che il vento mi nuoti,
attraverso la calda carne della mia anima?
Semplice: perché no?
E' bello farsi frugare dalla brezza,
conoscersi per lei, scoprirsi
ad essa uguali, diversi, e poi ancora uguali...
Facile, comodo, persino banale:
sfuggirsi é il sempre, a volte lo spesso;
se sei fortunato, il qualche volta
- se sei sfortunato, il mai.
Non é forse infinitamente più esaltante acchiapparci,
sfamarci di noi,
di noi dissetarci, tra noi confonderci
e in noi diffonderci,
se ciò é di così rara esperienza per noi,
intimi sconosciuti?
Inutile é la luce, senza le tenebre;
vana la sazietà, senza la fame;
banale l'amore, senza la solitudine.
E allora, voglio dipingere il mio buio,
nutrire la mia fame,
conquistare la mia solitudine, per poter
conversare col sole, godere del mio cibo,
amare l'amore.
Dai, non scacciamo gli opposti,
riappropriamocene, non viviamo la vita a metà,
perché far questo é per metà morire.
Nessuna tristezza, nessuna felicità;
niente sfuggirsi, niente trovarsi;
niente solitudine, niente amore.
Va bene, okay, okay:
sono triste, infelice, solo, ti sfuggo, mi sfuggo,
ci sfuggiamo:
é giusto, é necessario, é vitale.
Ma adesso basta.

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