04/05/2011
racconto, da "Perche' no?"
Galleggio in una nuvola
ribollo, in una folla di improbabili sinapsi
mi avvolgo delle coltri che mi avvolgono,
stravolto,
volteggio dentro volti, due alla volta
a volte
mi immergo nel vapore,
in me mi mescolo col me che in me riemerge,
ingeneroso, geloso, illuso, pavido, sincero:
non solo io, forse anche me. Mah.
Allora, siamo forse in due?
Oppure in dieci, cento...
Ma sì, riemergiamoci,
immergendoci l'uno nell'altro,
discutiamoci, abbracciamoci,
separiamoci, schiaffeggiamoci,
per cercarci e poi trovarci, oppure no:
ugualmente ti vivrò, allo stesso modo mi vivrai.
Perché, non più imballato
nel cartone del mio cielo,
su una bolla, mi trastullo,
lasciando che il vento mi nuoti,
attraverso la calda carne della mia anima?
Semplice: perché no?
E' bello farsi frugare dalla brezza,
conoscersi per lei, scoprirsi
ad essa uguali, diversi, e poi ancora uguali...
Facile, comodo, persino banale:
sfuggirsi é il sempre, a volte lo spesso;
se sei fortunato, il qualche volta
- se sei sfortunato, il mai.
Non é forse infinitamente più esaltante acchiapparci,
sfamarci di noi,
di noi dissetarci, tra noi confonderci
e in noi diffonderci,
se ciò é di così rara esperienza per noi,
intimi sconosciuti?
Inutile é la luce, senza le tenebre;
vana la sazietà, senza la fame;
banale l'amore, senza la solitudine.
E allora, voglio dipingere il mio buio,
nutrire la mia fame,
conquistare la mia solitudine, per poter
conversare col sole, godere del mio cibo,
amare l'amore.
Dai, non scacciamo gli opposti,
riappropriamocene, non viviamo la vita a metà,
perché far questo é per metà morire.
Nessuna tristezza, nessuna felicità;
niente sfuggirsi, niente trovarsi;
niente solitudine, niente amore.
Va bene, okay, okay:
sono triste, infelice, solo, ti sfuggo, mi sfuggo,
ci sfuggiamo:
é giusto, é necessario, é vitale.
Ma adesso basta.