30/04/2011

Transito

racconto, da "Perche' no?"Search

Ciao!
E' inutile, i minuti, le ore, i giorni passano, e io mi trovo a controllare febbrilmente una cassetta ogni volta vuota, come é normale che sia.
Io che aspetto di leggere ciò che mi avrai voluto scrivere, non sapendo cosa aspettarmi, non volendo illudermi che ciò che sento sia almeno simile a ciò che senti tu, ma di fatto sperando che nelle tue parole possa trovare dei segni che mi permettano di veder crescere un nuovo sogno, pur sapendo che ciò, oltre a poter essere un mio illusorio volo sopra le nuvole, che forse mi farebbe perdere di vista la terraferma, farebbe affiorare tutte le difficoltà che una storia come quella che vorrei trascinerebbe inevitabilmente con sé...
Ma io adoro volare sopra le nuvole, nuotarci in mezzo, librandomi nell'aria, senza peso, per sbucare in alto, a specchiarmi nel sole, convincendomi forse, per qualche istante, che la mia immagine vi venga riflessa fedelmente, in tutta la sua scintillante felicità.
Ma, come un novello Icaro, mi vedo anche, pericolosamente vicino al sole, cominciare a perdere quota, precipitare,
giù,
sempre più in basso,
giù,
sempre più in fretta,
ancora giù, a bucare le nuvole, ma non basta, ancora più
giù, mentre un temporale si abbatte sopra di me, e la pioggia, la grandine, i tuoni, i fulmini, mi spingono ancora più in basso,
giù, che cerco di aggrapparmi ai rami degli alberi, alle loro foglie, trascinandole con me
giù, sul terreno, e poi ancora
giù, fino al centro della Terra, e ancora più
giù, laddove il cadere perde significato, e posso cominciare a guardare quanto ardua e lacerante sarà la risalita...
E mi ricordo, ora, quando, appena rappezzato il mio cuore, un pezzo del quale avevo smarrito lungo la strada;
la mente libera, turbata solo da lontani e ormai traslucidi spiritelli birichini che svolazzavano, ora come farfalle, ora come zanzare, agitando al vento i loro impertinenti riccioli neri;
il passo ancora malfermo, ma ben diretto al di qua di una marcata linea bianca, che però delimitava un burrone senza parapetto;
lo sguardo in disperata ricerca di dolcezza e di amore, di tenerezza e di sostegno;
le labbra inaridite dall'esaurirsi di una fonte che ormai da qualche tempo aveva cessato di gorgogliare gioiosamente dal mio petto, bisognose di dissetarsi ad una sorgente della cui esistenza dubitavano con convinzione malcelata;
mi rivedo, dunque, quando il mio cuore sentì le cicatrici svanire;
la mia mente che gioiva, per la pace ormai sicura con gli spiritelli che si erano ostinati, ormai innocui, a restare con me;
il passo sicuro, che si avvicinava senza timore anche a quello che, da burrone, si andava trasformando in dolce declivio che presto si sarebbe ammantato di rossi papaveri come di fragili e piccoli ciclamini;
lo sguardo pieno dei tuoi occhi, dolce e forte sostegno per i miei;
le labbra inumidite dal timido risvegliarsi di una piccola sorgente, che non chiedeva altro se non di diventare un fiume in piena, destate dal loro arido torpore non appena sfiorate, per un attimo, dalle tue...
E allora, non ho paura di affrontare il sole, di giocare allegramente con il suo calore, di arrampicarmi gioiosamente sui monti della luna, di immergermi spensieratamente nei suoi mari privi di acqua, e di bagnarmi sotto la pioggia, di lasciarmi accarezzare dalla grandine e illuminare dal fulmine, ascoltando con gioia la potente voce del tuono...
Non ho paura di farmi sorreggere dai rami dell'albero, con la sicurezza di un suo frutto, né una foglia potrà staccarsi sotto il mio incorporeo peso; e la Terra non potrà che portarmi maternamente in giro tra le galassie, e mai spalancarsi sotto di me in abissi su cui potrei comunque volare con le ali di un'ingenua ma infantilmente pura incoscienza, alla velocità del pensiero...
Ecco, questo chiamo il mio essere innamorato, questo e tanto altro, che le parole della lingua più sofisticata non potranno mai esprimere.
E tutto questo, che tu lo sappia o no, che tu lo voglia o no, é già successo in qualche sperduto angolino della mia anima, e di questo non potrò mai riuscire a ringraziarti abbastanza.
Ma quasi non oso immaginare quale esplosione di felicità sarebbe fare un volo sopra le nuvole, verso il sole, dimenticando la terraferma, al di fuori del tempo, tanto non si misurano le emozioni con il tempo, fare questo volo io e te, soli, insieme...
Magari in moto.

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23/04/2011

Perche' fuggi?

racconto, da "Perche' no?"Search

Emanuele lo interruppe con un gesto misurato, ma deciso, tipico di chi é abituato a vedere gli altri che si confrontano con le sue idee, un po' meno a tenere seriamente conto di ciò che si discosti dal suo modo di pensare.
Lui stette in silenzio, per un attimo, e considerò per la prima volta il nuovo interlocutore: il suo sguardo sembrava più vecchio del suo aspetto fisico, e lui non riusciva a capire se fosse nato prima del corpo di Emanuele, o forse fosse quest'ultimo che, non riuscendo a tenere dietro all'invecchiare dei suoi occhi, avesse deciso di fermarsi un attimo per riposare, e non fosse più riuscito a riguadagnare il tempo di cui gli occhi si erano intanto avvantaggiati; i capelli, castani e setolosi, sembravano voler fuggire dalla sua testa, tanto erano scomposti e diretti verso tutte le direzioni, ma nello stesso tempo si poteva intuire che le loro radici erano ben piantate nel suo cuoio capelluto. Non era né alto né basso, anche se non era momentaneamente possibile valutare esattamente la sua altezza, visto che, dopo la sua interruzione, si era subitaneamente adagiato su una poltrona in modo da occuparne la maggior superficie possibile.
Ed era da lì, da quella posizione un po' sfacciata, con un espressione di sufficienza che sconfinava nella commiserazione, che si preparava a dare un seguito al suo gesto di un attimo prima:
"La tua affermazione può avere senso solo se consideri gli altri come un qualcosa che ha a che fare con il tuo modo di percepire, di fruire delle cose che ti circondano. E io ti dico che questo, se é questo che tu fai, ebbene, questo non ha senso, ma anzi, ti mette in condizione di smarrire, o, quanto meno, di perdere di vista, il tuo vero essere, lasciandolo assopire più o meno comodamente sotto un cumulo di emozioni altrui che ti può far comodo assimilare senza la fatica di andartele a cercare."
Ma chi era quell'individuo che gli parlava in quel modo, senza che nessuno li avesse neanche presentati? E con quale enfasi, con quale teatralità accompagnava le sue parole con ampi gesti delle mani!
Già, le mani...
Prima non le aveva notate, ma ora, mentre lo ascoltava impartirgli lezioni di vita non richieste, non riusciva a staccare lo sguardo dalle sue mani...
La palma era carnosa, muscolosa, solcata da linee ben marcate, dato che riusciva a distinguerle chiaramente, nonostante nella stanza la luce fosse fioca, ed Emanuele si trovasse ad una certa distanza da lui.
Le unghie della mano destra erano lunghe, ma curate, indizio che gli fece pensare che Emanuele suonasse la chitarra classica, oppure vedesse il plettro come un'appendice meccanica che lo allontanasse dallo strumento, con cui forse aveva bisogno di un rapporto fisico molto stretto, che solo le proprie dita potevano assicurargli.
Fu allora che la stanza si fece lattiginosa, indefinita, e l'aria, che prima respirava senza accorgersene, come senza accorgercene facciamo quasi tutto ciò che poi sarà veramente importante nel nostro divenire, l'aria sembrava diventata fluida, e lui sentiva il suo avanzare nella trachea, nei bronchi, sentiva l'ossigeno mentre entrava a far parte del suo sangue, e riusciva a seguire il suo percorso lungo tutto il suo corpo, con il quale non si era mai preoccupato troppo di fare conoscenza. L'unica cosa chiara, definita, che i suoi occhi vedevano, erano le mani di Emanuele, sempre più vicine, che sembravano conoscere il suo corpo molto meglio di quanto lui si fosse preoccupato di conoscerlo fino a quel momento... sentiva che quelle mani potevano trasformarsi nell'aria fluida che scorrazzava nella sua fisicitá, e si sentiva tentare irresistibilmente dalla voglia di farle immergere nella sua anima... sentì che tutto ciò che fino ad allora gli aveva impedito di provare sensazioni del genere rispetto ad un uomo stava svanendo...
"Ma cosa gli é preso?" "Non so, ad un certo punto si é alzato di scatto e se n'é andato" "Scusa, Emanuele, ma in questo periodo é un po' nervoso, forse gli é venuto in mente qualcosa che doveva fare..." "Doveva essere importante, é scappato via..."

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18/04/2011

Come il sughero

racconto, da "Perche' no?"Search

Perché mi avete chiamato?
Davvero, non avrei mai immaginato che le cose avrebbero potuto volgere verso questa soluzione...
Non ho alcun modo per tornare indietro, ma, tutto sommato, questo mondo non sembra del tutto da buttare; e allora, perché non continuare ad andare avanti? Crescerò? O forse, di nascosto, cercando di non farmi notare da me, sono già cresciuto?
Cammino sul bordo della luna, ed inciampo su qualcosa, o qualcuno, ma sono troppo leggero per ricadere sulla Terra... e allora continuo a galleggiare attraverso mondi diversi, allo stesso modo, così come il sughero galleggia sull'acqua limpida di un laghetto di montagna allo stesso modo che sulla torbida e limacciosa superficie di una palude...
Ma forse sto sognando, sono ancora bambino, e quel qualcosa, e quel qualcuno, appartengono ancora ad un altro mondo, che non sento mio...
Per adesso, bisogna che impari a parlare, bisogna che impari a camminare, per poter finalmente correre via a nascondermi...
E allora, continuerò ad imparare tutto ciò che posso, per poter assomigliare al sughero sull'acqua...
Ma forse sto sognando: lucida e terrificante sensazione, giorno dopo giorno, di perdere dei pezzi, o meglio, sento che, giorno dopo giorno, qualcuno appiccica qualcosa, qualcosa appiccica qualcuno, sul mio corpo di bambino, sulla mia mente di bambino, e aggiunge sempre più strati, strato su strato, strato su strato, strato su strato, continuamente...
Ma... posso muovere le dita... le sento! ... le agito... le mie unghie sono forti... grattano, da dentro... scavano, da dentro... perforano... strato dopo strato... strato dopo strato... no... adesso so che non riusciranno a ricoprirmi del tutto... mai... le mie mani lavorano... ci vedremo presto di nuovo... le mie dita continueranno a raschiare... almeno finché a qualcuno non verrà in mente di tappare anche la mia ultima ancora di salvezza, cosicché io non possa neanche più guardare il mondo con gli occhi di un bambino.

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12/04/2011

Ribellione

racconto, da "Perche' no?"Search

La bufera di neve impazza, là fuori. Non sento neanche più i cani ululare, né i tuoni rimbombare: solo il frastuono infernale del vento, che cerca di scoperchiare il mio rifugio, e penso che non avrei mai immaginato che il vento potesse fare tanto rumore.
E quasi lo vedo, che suona con violenza sulle imposte delle finestre, che percuote furiosamente le tegole del tetto, che trascina con sé finimenti, rami, slitte, nuvole, e persino le stelle.
E' una notte senza luna, per fortuna, altrimenti questo vento l'avrebbe senz'altro scaraventata lontano, a satellitare altrove, verso pianeti più ospitali di quanto il mio oggi possa essere.
Ancora una volta, percepisco la mia terrena piccolezza, la mia insignificante vacuità, la mia disarmante impercettibili, la mia malinconica solitudine di fronte al mondo, ribellatosi ormai da mesi, o anni, non so più, contro il suo oppressore, di cui forse rappresento uno degli ultimi esemplari.
La storia scorre davanti ai miei occhi, sbarrati dalla consapevolezza degli orrori commessi da chi si sentiva più forte e più eterno della natura stessa, ed io mi trovo protagonista di ogni nefandezza, di ogni mostruosa prepotenza che l'uomo sia riuscito a portare a compimento, in nome di ideali modificati giorno dopo giorno verso una sempre più spasmodica affermazione della propria volontà di dominio su tutto ciò su cui potesse posare gli occhi.
E' un attimo, ed ecco che due poderosi artigli di vento scardinano la mia porta, si fanno strada nella piccola stanza, mi cercano, e facilmente, infallibilmente, rabbiosamente, mi trovano. Forse ero veramente l'ultimo, perché, istantaneamente, la bufera si calma, contemporaneamente al mio non essere più ciò che ero abituato ad essere.
Sento degli uccellini cantare, e sono io che canto, tra alberi in fiore in cui mi riconosco, ma sì, sono io che tendo verso il cielo i miei rami poderosi, e sono io che fiorisco tra le foglie! Sono la balena, riapparsa miracolosamente in mezzo al mare, e sono io il mare, potente, infinito, ma portatore di vita e serenità. Sono le nuvole, che si rincorrono trascinate da una dolce brezza mattutina, e sono io che soffio, per portarmele dietro. Sono la terra, ed i vermetti che la dissodano alacremente e allegramente, sono il sole che la riscalda, la pioggia che la bagna. Sono l'elefante, la gazzella, la tigre, sono il gatto, il vitello, la formica. Solo una cosa non riesco ancora ad essere, e penso che ci vorrà ancora molto, molto tempo, perché io, la Natura, perdoni chi mi stava per distruggere, e decida forse di dare un'altra possibilità al genere umano.

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05/04/2011

Isole

racconto, da "Perche' no?"Search

La mia casa è un'isola. I venti la attraversano impetuosi, dando ad ogni cosa, ad ogni momento, un nuovo posto, dove comunque io saprò trovarla a colpo sicuro, perché anche io, sballottato dal vento, ho un posto nuovo per ogni istante che si consuma, ed un posto nuovo per ogni istante che nasce. Così, la mia memoria si compone di istanti e di luoghi, di luoghi e di istanti, che posso pensare separati o a coppie: nella mia clessidra racchiudo granelli di sabbia che ho calpestato, la mia carta geografica è il mio calendario, e so riconoscere ogni granello, e so riconoscere ogni minuto.
Capita che il vento si porti via anche la mia isola, ma la nuova dimora è un'isola che racchiude la precedente, perché la mia isola sono io, ed io sono la mia isola.
Ma la vecchia isola continua a vivere, ed io continuo a vivere in essa, io sono anche ciò che ero prima che il vento mi portasse via, e continuo ad esserlo dopo che l'ha fatto, cosicché mi ritrovo ad essere in più di uno: ma ognuno di me riconosce ogni granello di sabbia della propria clessidra e di quelle degli altri, ed ognuno di me si sa orientare in tutte le carte geografiche che mi sono costruito.
Un giorno, decisi di spargere al vento i granelli di una delle mie clessidre, e distrussi la carta geografica d quei minuti, di quelle ore, di quegli anni...
Passarono dei luoghi, visitai altri tempi, e mi incontrai: avevo con me una clessidra, che tra i suoi granelli contava quelli dispersi al vento, che in una delle mie isole avevo raccolto ad uno ad uno per restituirmeli, quando fosse venuto il momento.
Ora so che non mi vorrò mai più separare da ogni singolo granello, da ogni singolo, apparentemente insignificante, puntino della mia mappa, per nessun motivo: è faticoso ricercarli a chissà quante isole di distanza, e chissà se me li riporterei sempre indietro al momento giusto! Meglio averli qui, davanti agli occhi, sempre, per vederli cambiare colore, per vederli mescolarsi con i nuovi a creare sempre nuove sensazioni, per vederli appannarsi e diventare quasi trasparenti, per poi, solo perché avvicinati ad altri, riacquistare i toni accesi delle origini, o altre imprevedibili sfumature...
Ma, a volte, qualcuno di me sparisce, lontano, introvabile, e non sono stato io a svuotare la clessidra: vi giuro, è veramente dura rintracciare i granelli ad uno ad uno, e spesso la mappa risulta incompleta.

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Elephantom

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